Sharing economy – quanto costa il ritardo Ue

Secondo uno studio del Parlamento Ue, la sharing economy vale 572 miliardi di euro, e necessita di regolamentazione. L'Italia ha già mosso i primi passi, con la proposta di legge che domani approda alla Camera.

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In base allo studio realizzato dal Parlamento europeo, la sharing economy varrebbe circa 572 miliardi di euro. Ma, precisa il rapporto, il settore necessita di una regolamentazione, in primis a livello Ue.

“The Cost of Non-Europe in the Sharing Economy”, questo il titolo dello studio, che propone un esame dello stato dell'arte della sharing economy, e valuta le perdite potenziali dovute all'inazione dell'Unione europea in questo settore.

La situazione italiana

L'Italia ha mosso i primi passi lungo il cammino di regolamentazione del settore: a marzo è stata presentata la proposta di legge bipartisan “Disciplina delle piattaforme digitali per la condivisione di beni e servizi e disposizioni per la promozione dell’economia della condivisione”. Il testo - che approda domani alla Camera, nelle commissioni riunite Attività produttive e Trasporti, e aperto a commenti e segnalazioni fino al 31 maggio - prevede misure per la gestione e l’utilizzo delle piattaforme digitali per la condivisione di beni e di servizi, attraverso strumenti atti a garantire la trasparenza, l’equità fiscale, la concorrenza leale e la tutela dei consumatori.

Sharing economy – cosa prevede la proposta di legge

“Il percorso che ha portato alla stesura di questo testo è cominciato quasi due anni fa. Insieme ad un gruppo di colleghi dell’Intergruppo parlamentare per l’innovazione - tra cui in particolare gli altri primi firmatari Palmieri, Catalano, Quintarelli e altri - abbiamo deciso di approfondire il tema organizzando diversi incontri e partecipando ad iniziative in tutta Italia per conoscere, ascoltare e comprendere potenzialità e criticità di questo nuovo modello di consumo e di economia considerato da molti 'dirompente'”, ha dichiarato la deputaa Pd Veronica Tentori in un'intervista a FASI.biz.

“L'Intergruppo innovazione ha posto la sua attenzione al tema della sharing economy da oltre un anno e Airbnb, sin dal principio, ha partecipato ai tanti momenti di confronto sul tema, contribuendo alla discussione anche attraverso esempi di best practice internazionali”, dichiara Matteo Stifanelli, Country Manager di Airbnb Italia. E prosegue: “Siamo consapevoli che al momento sia difficile portare avanti un unico provvedimento che abbracci i temi della sharing economy, l'auspicio è che tutte le istituzioni, ogni volta, nell'esame dei singoli provvedimenti, tengano in considerazione anche chi condivide i propri beni in maniera occasionale e si impegnino in una progressiva semplificazione delle procedure”.

Divieto vs laissez-faire

In risposta alla crescente importanza della sharing economy, gli Stati membri stanno rivolgendo la propria attenzione alla regolamentazione del settore. “In generale, si registra una preoccupazione condivisa, legata alla necessità di adattarsi alle innovazioni tecnologiche, garantendo nel contempo il rispetto della concorrenza leale”, si legge nello studio realizzato dal Parlamento europeo.

Un equilibrio che non è semplice da trovare, come dimostrano gli approcci, talvolta opposti, adottati dai Paesi Ue: si va dal divieto puro e semplice ad un approccio più aperto, in una generale oscillazione tra una maggiore regolamentazione e misure di semplificazione.

Secondo lo studio, si tratta di agire a livello Ue, puntando su un miglioramento del quadro normativo esistente attraverso una combinazione di due approcci differenti: top-down, dunque una regolamentazione governativa, e bottom-up, vale a dire un'autoregolamentazione del settore.

Potenzialità e ostacoli

La natura dell'economia della condivisione è destinata a cambiare nel corso del tempo, così come la sua portata è destinata a crescere. In primo luogo, nota lo studio, tale settore potrebbe presto estendersi a mercati in cui ancora non ha raggiunto la massa critica, dal marketing all'istruzione, passando per la sanità. Un ampliamento di portata dovuto soprattutto ai benefici che la sharing economy comporta per i consumatori, che tendono a beneficiare di prezzi più vantaggiosi e servizi di migliore qualità.

Allo stesso tempo, il settore deve superare una serie di ostacoli. Il primo è meramente tecnico, e riguarda la “digital education”: la sharing economy è legata a doppio filo alla capacità di accesso alle piattaforme digitali, e la mancanza di conoscenze digitali rappresenta sì un ostacolo, ma destinato a perdere rapidamente importanza.

Ci sono poi una serie di barriere fisiche e geografiche che limitano lo sviluppo del settore: i servizi offerti dalle piattaforme di sharing economy riguardano soprattutto le aree urbane, e ciò esclude i consumatori che vivono in zone rurali o scarsamente popolate.

Lo studio considera inoltre due fattori “psicologici”: la propensione del consumatore alla proprietà e la necessità di stabilire un rapporto di fiducia, elemento imprescindibile dell'economia della condivisione.

Inoltre, politiche fiscali o altre scelte di natura economia non destinate ad influenzare direttamente la sharing economy potrebbero comunque impattarne la crescita; d'altro canto, nota lo studio del Pe, una regolamentazione molto rigida rischia di scoraggiare l'economia della condivisione.

Contesto normativo e raccomandazioni

Numerose direttive Ue riguardano, direttamente o indirettamente, i settori di mercato in cui operano le piattaforme della sharing economy: dalla direttiva e-commerce (2000/31/EC) alla revisione del quadro normativo Ue per la protezione dei dati, dalla direttiva servizi (2006/123/EC) a quella per diritti dei consumatori (2011/83/EC).

Ma non basta: sebbene la sharing economy abbia le potenzialità per crescere anche nel contesto normativo esistente, ciò non significa che quest'ultimo non debba migliorarsi, affrontando le questioni più urgenti.

Lo studio fornisce dunque una serie di raccomandazioni su come affrontare il fenomeno della sharing economy dal punto di vista normativo. In primis, suggerisce di definire con attenzione cosa si intende per piattaforme digitali: dovrebbero essere considerate servizi della società dell'informazione o imprenditoriali? Si tratta di una questione di primo piano, per cui è stata chiamata in causa anche la Corte di Giustizia europea: un magistrato spagnolo ha chiesto di stabilire se il servizio offerto da Uber rientri o meno tra quelli inclusi nel “mercato digitale”.

Anche considerandole servizi della società dell'informazione, il quadro normativo corrente, in particolare la direttiva sul commercio elettronico, non sarebbe adeguata allo scopo: il quadro giuridico dev'essere aggiornato per abbracciare le novità legate alla sharing economy. Andrebbe dunque presa in considerazione la creazione di una categoria ibrida per i servizi della società dell'informazione, che dovrebbe andare di pari passo con la definizione di un più equilibrato regime giuridico.

Il report suggerisce inoltre di definire obiettivi, metodologie e regole comuni per migliorare il quadro normativo Ue. Si tratta ovviamente di un processo che dovrà svolgersi gradualmente, partendo dai settori per cui urge una regolamentazione, ad esempio il trasporto passeggeri. In tal modo, il legislatore dovrebbe evitare il rischio di un eccessiva regolamentazione: del resto, le aziende operanti nel settore della sharing economy sono soprattutto startup, che hanno dunque bisogno di spazio di manovra per innovare a crescere.

Inoltre, lo studio suggerisce di:

  • garantire la competitività, evitando che alcune piattaforme monopolizzino il mercato della sharing economy in specifici settori;
  • non modificare le regole del mercato del lavoro per includere le piattaforme della sharing economy;
  • mantenere alto il livello di protezione dei dati;
  • tutelare la proprietà intellettuale.  

The Cost of Non-Europe in the Sharing Economy

Photo credit: GotCredit via Foter.com / CC BY