Strategia Europa 2020: Bruxelles ci mette la faccia

EU Flag - immagine di FlankerA dieci anni dal lancio della strategia di Lisbona, l’UE si batte pubblicamente il petto e lancia la strategia “Europe 2020”.  E’ dura ammettere che Lisbona si sia rivelata una disfatta. Corre l’anno 2000 quando l’Unione Europea si prefigge l’obiettivo di divenire l’economia più competitiva del mondo e di raggiungere la piena occupazione entro il 2010. Niente di tutto questo accade. Anzi, a distanza di dieci anni ci si ritrova molto peggio di prima, con 7 milioni di nuovi disoccupati nell’ultimo anno, per un totale di 23 milioni d persone senza lavoro.

Molteplici le cause di questo insuccesso: prima di tutto il fatto che non tutti i paesi abbiano raggiunto allo stesso modo gli obbiettivi tracciati dalla strategia di Lisbona, con una modalità di attuazione tipicamente a macchia di leopardo.

Anche la tempistica dei singoli paesi si è dimostrata piuttosto lenta. Il 16 marzo 2010, sotto la presidenza di turno spagnola, il Consiglio ha ufficialmente adottato Europe 2020, la nuova strategia proposta dalla Commissione Europea per una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva.

Questo passo è più che mai necessario alla luce di una recessione mai conosciuta prima dai tempi della Depressione. Una crisi partita dai centri nevralgici finanziari americani e che nel giro di poco tempo, in virtù della globalizzazione e dell’interdipendenza, si è sprigionata in tutto il mondo.

Al di là della crocefissione dei banchieri, diverse figure hanno avuto una responsabilità: dai politici ai funzionari, dagli imprenditori ai giornalisti. La caratteristica di questa nuova strategia è la multidimensionalità integrata.
Economisti, funzionari ed esperti hanno realizzato che la crescita di un paese non può misurarsi meramente con il Pil.

Questo per diversi motivi.

In primo Kolodko - foto di Sławekluogo il Pil europeo difficilmente potrà inseguire una cieca strategia di crescità né raggiungere i tassi della Cina, dell’ India e delle altre locomotive asiatiche.
Nondimeno, come ha spiegato l’economista di fama mondiale Grzegoz Kolodko, figura chiave per le riforme in Polonia negli anni Novanta, il Pil non può essere l’unico indicatore della qualità della vita.

Sostenibilità ambientale, educazione, istruzione, competitività, salute, welfare, ammortizzatori sociali, inclusione, lotta alla povertà: ora l’Europa deve fare i conti con questi valori fondanti.

Se dovessimo tenere in considerazione soltanto il Pil, rischieremmo di appiattirci sugli scelte della Cina, che troppo spesso sacrifica la salute e il benessere dei cittadini in nome di un Pil che vola verso il 10%.
E’ ora quindi di dotarsi di un nuovo indicatore di sviluppo umano, capace di esprimere le diverse dimensioni. E’ come se avessimo capito che siamo nella società post industriale, ma non sapessimo rinunciare alla società post-Pil.

Il jackpot di “Europe 2020” è alto. Altrettanto elevati i rischi di una nuova doccia fredda. Stavolta la Commissione Europea “cammina sui pezzi di vetro” e si augura di aver imboccato la strada giusta. Perché nessuno in questo momento può avere una ricetta per uscire dall’impasse.

Secondo Gert-Jan KoopmanGert-Jan Koopman, direttore per la valutazione economica e le riforme strutturali presso la DG Affari Economici e Monetari, da qui a dieci anni l’UE si ritroverà davanti a tre possibili scenari, dal più ottimistico, al più nefasto:

  1. Ripresa sostenibile: pieno ritorno alla situazione antecedente al 2007, anno della crisi.
  2. Ripresa fiacca: perdita di ricchezza, situazione deteriorata.
  3. Dieci anni andati in fumo: perdita permanente di ricchezza e possibilità di futura crescita.

La possibilità di raggiungere il primo scenario è legata alla capacità dell’UE di attuare in tutti i paesi membri le riforme strutturali integrate necessarie, prima fra tutte quella fiscale, senza intaccare eccessivamente il budget comunitario.

Da un certo punto di vista l’Europa ha reagito meglio di altri alla crisi – vedi gli Stati Uniti - e soprattutto non ha responsabilità primaria di quello che è accaduto.

La nuova strategia 2020 può consentire all’UE di riscattarsi dagli ultimi insuccessi, come quello bruciante di Copenhagen, ma ancora non dice abbastanza su cos’è e su cosa non è l’Europa, vedi l’Ucraina, ma soprattutto la Turchia, non dice abbastanza sulla politica fiscale comune, non dice se davvero la Gran Bretagna vuol far parte sul serio dell’UE.

La strategia “Europe 2020” mira, entro il 2020, a raggiungere la soglia del Pil al 6,5%. Un obiettivo forse troppo ambizioso che potrà essere raggiunto soltanto attraverso riforme veramente incisive. Il prezzo da pagare per un nuovo insuccesso sarebbe troppo alto.
(Alessandra Flora)