Sharing economy – Regioni, da Ue piu' chiarezza e ambizione

Per il Comitato delle Regioni negli orientamenti Ue sulla sharing economy troppi aspetti restano da chiarire.

Sharing economy - Photo credit: Emilio Quintana via Foter.com / CC BY-NC-SA

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Le Regioni e le città europee si dicono decise a sfruttare appieno il potenziale che la sharing economy offre in termini di posti di lavoro, servizi innovativi e di qualità, sostenibilità e solidarietà. Ma negli orientamenti della Commissione europea sull'agenda europea per l'economia collaborativa troppi aspetti restano da ancora chiarire per i regolatori nazionali e regionali. Questo, in sintesi, il messaggio lanciato da Benedetta Brighenti, vicesindaco del comune di Castelnuovo Rangone (Modena) e relatrice del parere di iniziativa del Comitato delle Regioni sulla sharing economy.

Città e regioni dell'Ue mettono quindi in guardia contro i rischi dell'attuale incertezza giuridica sulla sharing economy e chiedono regole comuni, equilibrate e lungimiranti, capaci di promuovere lo sviluppo imprenditoriale garantendo al contempo i diritti dei lavoratori, dei consumatori e degli operatori tradizionali.

“Definire norme comuni è una condizione essenziale per sfruttare il potenziale di questa nuova economia. Le imprese e le comunità locali hanno bisogno che l'Unione europea faccia chiarezza e crei fiducia negli operatori e nei consumatori, evitando però un eccessivo carico di burocrazia e dei requisiti da rispettare”, sottolinea la relatrice. “Abbiamo bisogno di una classificazione chiara dei prestatori di servizi, di regole chiare sulla responsabilità sociale delle piattaforme online e sui diritti degli utenti, e di soglie comuni per l'accesso al mercato. Dobbiamo anche stabilire, a livello europeo, norme per le startup che garantiscano concorrenza leale e competitività sul mercato mondiale”.

Secondo il Comitato delle Regioni, intervenire sul quadro giuridico europeo è indispensabile per ridurre i rischi di frammentazione normativa indotta dall'approccio giurisprudenziale attualmente seguito, nel quale le norme a livello Ue vengono stabilite caso per caso attraverso la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione.

Basti prendere il caso di Uber, l'app che, mettendo in collegamento diretto passeggeri e autisti, ha dato vita a un nuovo servizio di trasporto privato. Il fascicolo è approdato sui banchi della Corte di giustizia dopo che un sindacato di tassisti di Barcellona aveva fatto causa a Uber nel 2014 per concorrenza sleale. Oltre ad essere molto atteso, il processo potrebbe avere ripercussioni su tutti i Paesi Ue: la Corte, infatti, deve stabilire se Uber sia una compagnia di trasporti o una piattaforma digitale. Nel primo caso, la società dovrebbe accordarsi con ciascuno dei Paesi dell’Ue sulle norme da rispettare, e sottostare alle regole sindacali e di sicurezza sul lavoro previste per i tassisti; se invece i giudici decidessero che Uber è una semplice piattaforma digitale, potrebbe essere reintrodotto UberPop (o UberX, il servizio aperto ad autisti privi di una licenza professionale).

Il Comitato delle Regioni chiede inoltre un riesame della direttiva Ue sui servizi, per aggiornare le disposizioni e le definizioni dei concetti chiave, a partire da quello di “prestatore di servizi”. Per quanto riguarda la fiscalità, i leader regionali e locali sottolineano che le piattaforme collaborative online possono diventare uno strumento strategico per tracciare attività e operazioni che altrimenti resterebbero nell'economia sommersa. A tal fine, sono necessarie soluzioni intelligenti e condivise per evitare violazioni della normativa e mancato gettito. Il parere chiede infine di rafforzare la cooperazione tra le autorità e le piattaforme, anche attraverso la creazione di un Forum europeo delle città sull'economia collaborativa.

Photo credit: Emilio Quintana via Foter.com / CC BY-NC-SA