Venture capital – crescono investimenti Italia, ma numeri ancora bassi

Raddoppiano i capitali raccolti, crescono investimenti e operazioni. Ma l'Italia resta indietro rispetto agli altri paesi europei. I dati presentati al convegno annuale AIFI.

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Private equity e venture capital migliorano in Italia, ma non c'è ancora motivo di festeggiare. A fotografare il mercato italiano del capitale di rischio, l’analisi condotta dall'Associazione italiana del private equity, venture capital e private debt (AIFI), in collaborazione con PwC Transaction Services.

Raccolta. Nel 2015 la raccolta sul mercato è stata pari a 2 miliardi e 487 milioni di euro, in crescita dell'84,5% rispetto al 2014, risultato legato soprattutto al closing di alcuni grandi fondi. Per l’anno preso in esame la distribuzione della provenienza della raccolta si suddivide quasi in modo equanime tra Italia (con il 51,9%) ed estero (48,1%).

16 gli operatori che hanno svolto attività di fundraising sul mercato, contro i 15 dell’anno precedente. “L’incremento della raccolta è sicuramente un dato positivo però restano ancora troppo bassi i numeri in termini assoluti”, dichiara il presidente dell'AIFI Innocenzo Cipolletta. “Rispetto agli altri Paesi europei siamo ancora indietro e molto lavoro è da fare per coinvolgere fondi pensione, casse di previdenza e assicurazioni”, aggiunge.

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Investimenti. Nel 2015 il mercato si caratterizza sia per una crescita del numero degli investimenti, che si attestano a 342 (+10%), sia per una crescita dell’ammontare delle risorse investite, pari a 4 miliardi e 620 milioni di euro (+31%).

Cresce il buyout sia nell’ammontare degli investimenti (+49,2%) che rappresenta il 42% del totale di mercato, sia nel numero: 101 (+11%). In aumento anche il numero delle operazioni di seed/startup (122 rispetto alle 106 del 2014) e dell’ammontare degli investimenti in tali operazioni, che passano da 43 milioni di euro del 2014 a 74 milioni del 2015.

“Quest’anno il dato importante sugli investimenti riguarda l’ammontare, che ha raggiunto il secondo valore più alto di sempre”, afferma Anna Gervasoni, direttore generale AIFI, “ottimo risultato dovuto anche al ritorno di attrattività del nostro Paese, tanto che gli operatori internazionali hanno apportato ben il 66% dell’ammontare totale investito”.

“In trent’anni abbiamo raccolto 40 miliardi di euro da operatori italiani, una cifra significativa certo, ma non paragonabile a paesi come Inghilterra, Francia e Germania”, prosegue Gervasoni, “il gap da colmare è ancora tanto, stiamo lavorando per portare il livello dei capitali di rischio al livello che l’Italia merita”.

In calo l'expansion, vale a dire le operazioni finalizzate ad accrescere lo sviluppo di un'azienda, che scende sia nell’ammontare sia nel numero di operazioni: -71,8% nell’ammontare investito, da 1 miliardo e 179 milioni di euro del 2014 si è passati a 333 milioni del 2015; -19,8% nel numero dei deal, che scendono dalle 101 operazioni del 2014 alle 81 del 2015.

Disinvestimenti. Nel 2015, l’ammontare disinvestito al costo di acquisto delle partecipazioni è stato pari a 2 miliardi e 903 milioni di euro, in crescita del 10,3% rispetto ai 2 miliardi e 632 milioni dell’anno precedente. 178 è il numero delle dismissioni (+2,3%), sostanzialmente invariato rispetto al 2014 (174). Lo strumento maggiormente utilizzato per i disinvestimenti risulta essere la vendita ad altri investitori finanziari, grazie alla strategia di spin off di un primario operatore bancario (58 casi), seguito dal trade sale, la vendita a un operatore industriale (56). E il disinvestimento con vendita ad altri investitori è al primo posto anche per ammontare, pari a 1 miliardo e 397 milioni di euro (+109,6%) rispetto ai 667 milioni di euro del 2014.

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