Equity crowdfunding - piattaforme italiane e proposte per decollare

A due anni e mezzo dal regolamento sull'equity crowdfunding, in Italia il fenomeno fatica ancora a svilupparsi, e restano nodi da sciogliere

Crowdufunding - Author: ColaBoraBora / photo on flickr  

I numeri dell'equity crowdfunding in Italia

Quasi 3 milioni di euro, per essere precisi 2.959.236 euro. A tanto ammonta il capitale di rischio raccolto in equity crowdfunding in Italia nell'arco di circa due anni e mezzo (dal 26 giugno 2013, data di entrata in vigore del decreto Crescita 2.0 contenente il regolamento sulla 'Raccolta di capitali di rischio da parte di imprese start-up innovative tramite portali on-line', al 2 dicembre 2015).

A fornire i numeri, l'Osservatorio sul crowdfunding for equity della School of management del Politecnico di Milano, che studia il fenomeno del crowdfunding in Italia dal 2013, raccogliendo sistematicamente dati e casi di studio.

19 i portali autorizzati in Italia, 31 le offerte pubblicate attraverso tali piattaforme (29 offerte promosse da startup e 2 promosse da una PMI innovativa). Di queste, 10 offerte si sono chiuse con successo, 14 chiuse senza successo e 7 sono attualmente in fase di raccolta.

Proseguiamo con i numeri: il target medio di investimento supera di poco i 372mila euro, e la quota media del capitale di rischio offerto è del 23,06%.

Infine, l'Osservatorio fotografa la percentuale media di raggiungimento del target da parte dei progetti presentati. E qui emerge una notevole differenza fra quelli che hanno ottenuto un esito positivo e i progetti senza successo: nel primo caso i progetti presentati, poi finanziati, hanno raggiunto l'87,7% del target, mentre i secondi hanno raggiunto solo il 5,1% del target. Inoltre, i progetti di successo possono contare su una media di 34,8 finanziatori per ogni campagna.

Il quadro si fa più roseo se si allarga la prospettiva oltre le sole piattaforme autorizzate: come dimostra il report frutto della ricerca realizzata dall'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e coordinata dalla professoressa di Sociologia economica Ivana Pais, con il contributo di TIM quale sponsor dell'iniziativa ed il supporto tecnico di Starteed, sono 82 le piattaforme di crowdfunding in Italia, per un valore complessivo dei progetti finanziati pari a 56,8 milioni di euro.

Le piattaforme italiane

Il primo ok da parte della Commissione nazionale per le società e la borsa risale all'inizio del 2014, quando la piattaforma StarsUp ha ottenuto, per prima, l’autorizzazione.

StarsUp offre principalmente la possibilità, attraverso il proprio portale, di raccogliere capitale di rischio da parte di startup innovative, permettendo loro di pubblicare il proprio progetto ed effettuare la raccolta. In caso di esito positivo dell’operazione, qualora cioè venga raccolto l’intero ammontare di capitale richiesto, l’operazione è conclusa e a StarsUp è riconosciuto un compenso, in genere su base percentuale dell’ammontare raccolto.

E il portale è tornato agli onori della cronaca a metà novembre, con la chiusura positiva dell'offerta Kiunsys, la startup nata a Campobasso e spin-off dell’Università di Pisa, che offre soluzioni integrate hardware e software per aiutare le città a gestire in modo più efficiente e sostenibile l’insieme delle regole e dei processi che disciplinano l’accesso dei veicoli in città (Smart Urban Mobility), la sosta (Smart Parking) e la logistica urbana (City Logistics) superando e innovando l’approccio delle soluzioni tradizionali.

La campagna di equity crowdfunding lanciata sulla piattaforma Starsup aveva come obiettivo minimo un target di 375 mila euro per il 10% di equity e come massimo il doppio. La raccolta effettiva è stata di 505mila euro, ben oltre quindi l'obiettivo minimo, ed è stata sottoscritta da 18 investitori, principalmente corporate, accomunati da un forte interesse verso le tecnologie per le Smart Cities.

Fra questi, i principali sono costituiti da Red Lions SpA, società toscana di investimenti in startup innovative, in qualità di Lead Investor, TT Tecnosistemi SpA, che opera nel settore dell’Information Technology dal 1984, e Istituto Banco di Napoli – Fondazione. Starsup raggiunge così quota 4 società finanziate per un totale di quasi 1,2 milioni di euro, ripartito tra 118 investitori, che in media hanno versato 10mila euro l'uno.

Nel panorama italiano si è poi imposta la piattaforma SiamoSoci: unica nel suo genere, pur rientrando nel novero dei gestori iscritti al registro Consob, si è imposta come la prima piattaforma in Italia di social investing. Una piattaforma dedicata quindi alle startup, che ha come obiettivo quello di far incontrare progetti e investitori, agevolando l’apporto di risorse verso l’imprenditoria innovativa: un “Marketplace for Ventures”, un motore di ricerca che permette agli investitori di trovare aziende di cui comprendono il business.

SiamoSoci ha recentemente siglato un accordo con LVenture Group, fra i principali operatori italiani di venture capital, che consente alle startup selezionate dall'operatore di avere un accesso agevolato alla piattaforma e creare un profilo per guadagnare visibilità presso un vasto network di business angel, acceleratori di impresa e fondi di venture capital.

Si è affidata invece alla piattaforma  NextEquity (prima nelle Marche e quinta in Italia ad aver ottenuto l'autorizzazione della Consob), Synbiotec, spin-off dell'Università di Camerino produttrice di probiotici, la prima PMI innovativa ad aver avviato una campagna di equity, chiedendo poco più di un milione di euro, per un’equity distribuita del 35%.

Per comprendere la novità rappresentata da Synbiotec è necessario fare un passo indietro, e riprendere le parole di Giancarlo Giudici, responsabile dell’Osservatorio sul crowdfunding del Politecnico di Milano: “L'attrattività del business di gestire una piattaforma di equity crowdfunding aumenterà con gli auspicabili sviluppi del Decreto ‘Investment Compact’ che aprirà questa opportunità non solo alle startup ma anche alle PMI”.

Il decreto n. 3-2015 non solo ha introdotto la categoria di PMI innovativa nel panorama legislativo italiano, ma l'ha messa sullo stesso piano delle startup innovative. Una piccola rivoluzione copernicana, che ha permesso alle imprese che possiedono i requisiti individuati dal decreto di beneficiare della riduzione degli oneri per l'avvio di impresa, accedere a forme alternative di remunerazione come stock option e work for equity e raccogliere capitali mediante crowdfunding.

Succedeva all'inizio del 2015. Solo alla fine dell'anno la Consob ha messo mano al regolamento sull'equity crowdfunding.

Uno strumento che fatica a decollare. Le proposte AIEC

Benché l'Italia abbia quindi pensato a costruire l'ossatura normativa per la regolamentazione dell'equity crowdfunding - la raccolta di capitali di rischio da parte delle startup innovative in Italia è regolata del decreto Crescita 2.0, il decreto legge n. 179 del 18 ottobre 2012, convertito con modificazioni nella legge n. 221 del 17 dicembre 2012 - tale strumento fatica ancora ad imporsi.

“Molti rivendicano che le norme attuali sull’equity crowdfunding in Italia siano troppo restrittive”, notava a marzo Giancarlo Giudici intervistato da FASI.biz.

Punto su cui concorda l'Associazione Italiana dell’Equity Crowdfunding (AIEC), costituita da gran parte delle piattaforme iscritte nel registro della Consob, che ha indicato una serie di punti deboli della situazione italiana. Partendo, ovviamente, dall'impianto normativo.

Primo nodo da sciogliere, la burocrazia: l'articolo 17 del regolamento impone al gestore autorizzato di richiedere a una banca o un’impresa d'investimenti di procedere con una verifica dell’appropriatezza dell’investimento stesso, così come imposto dalla direttiva sui mercati degli strumenti finanziari (MIFID). In linea di principio, nota AIEC, non vi è ragione di procedere alla verifica di adeguatezza nel caso dell’equity crowdfunding, non trattandosi di attività di consulenza finanziaria; per di più, “si tratta di un’analisi sostanzialmente corrispondente a quella che è in ogni caso richiesta dal regolamento ai gestori dei portali”. Lasciando direttamente al gestore questo compito si accorcerebbero i tempi necessari alle verifiche – che sono e restano opportune – e lo si solleverebbe da collaborazioni con terzi.

Al secondo punto, l'Associazione chiede di eliminare, o almeno rivedere, la differenza tra persone fisiche e persone giuridiche nel regolamento, che impone per i primi un investimento minimo inferiore ai 500 euro, e per i secondi ai 5mila euro. Ma la media di investimento è superiore alle soglie, e il concetto di minimo andrebbe quindi ricalibrato.

Si pone poi la questione legata alla “regola del 5%”. Per intenderci, pur raggiungendo la soglia di finanziamento richiesto, un investimento non può essere perfezionato se almeno il 5% degli strumenti finanziari offerti non sono stati sottoscritti da investitori professionali, da fondazioni bancarie o incubatori. Regola che secondo l'AIEC andrebbe abrogata o rivista abbassando la soglia al 2% o allargando la categoria degli investitori professionali, includendo ad esempio le Holding di partecipazione, i venture capitalist e i business angel.

Infine, l'Associazione critica il contratto di investimento, che dev'essere presentato in forma scritta e autografata dall’investitore. Significa quindi che banche e imprese di investimento devono portare il cliente off-line: sebbene vi siano soluzioni valide sia per l’identificazione (come il bonifico certificato) che per il questionario MIFID (compilabile on-line), la forma del contratto di investimento ostacola la finalità principale e la natura dell’equity crowdfunding.

Photo credit: ColaBoraBora / Foter.com / CC BY-SA