Legge agevolazioni a startup culturali – occasione mancata

Startup culturali Cura dimagrante per la legge in materia di agevolazioni per le startup culturali: nel testo approvato alla Camera saltano sia le startup che le agevolazioni.

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A un anno e mezzo dalla presentazione della proposta di legge in materia di agevolazioni per le startup culturali e creative, il testo ottiene l'ok dell'Aula della Camera con 282 voti favorevoli, 113 astenuti e nessun contrario. Il provvedimento passa ora all'esame dell'altro ramo del Parlamento.

Un testo che, lungo il percorso, ha perso pezzi importanti, arrivando claudicante in Assemblea: salta la dicitura “startup”, e con essa molti degli incentivi inizialmente previsti.

Non più startup, ma imprese culturali e creative

La prima differenza lampante nella nuova versione del testo è il titolo. Se quello originario era “Agevolazioni in favore delle startup culturali e modifiche al testo unico in materia di raccolta di capitali tra il pubblico per la valorizzazione e la tutela dei beni culturali”, nella nuova versione la proposta di legge cambia radicalmente registro per diventare “Disciplina e promozione delle imprese culturali e creative”.

Salta così uno degli aspetti più innovativi della proposta normativa, vale a dire l'introduzione della figura della startup culturale: una startup innovativa che abbia come oggetto sociale esclusivo “la promozione dell’offerta culturale nazionale [...]”.

Un riconoscimento, quello di startup, che avrebbe portato con sé tutta una serie di importanti novità sul piano statutario e degli incentivi.

Bye bye agevolazioni

L'articolo 2 della proposta di legge, relativo alle misure incentivanti, subisce una drastica cura dimagrante. Saltano cioè tutte le proposte iniziali per le startup culturali: non si parla più di esenzione dal pagamento dell'imposta di registro, dei diritti erariali e delle tasse di concessione governativa.

E soprattutto nella nuova versione non figura più la possibilità di ottenere un credito d'imposta pari al 65% delle spese per l’acquisto di mezzi tecnologici e digitali.

Nella versione approvata dall'Aula non si parla più quindi di misure incentivanti, bensì di “Facilitazioni relative alla concessione di locali per le attività dell’impresa”. Fra queste, la possibilità di chiedere la concessione di beni demaniali dismessi, con particolare riferimento a caserme e scuole militari inutilizzate, non utilizzabili per altre finalità istituzionali e non trasferibili agli enti territoriali. Beni che potranno essere concessi per un periodo di almeno 10 anni a un canone mensile simbolico di 150 euro (al massimo), con oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria a carico del concessionario.

Via anche il crowdfunding

Un altro elemento interessante della proposta iniziale era la previsione dell'utilizzo dello strumento del crowdfunding per la valorizzazione e la tutela dei beni culturali.

Ma anche questo tassello è venuto meno: soppresse infatti le sezioni relative al “crowdfunding per la valorizzazione e la tutela dei beni culturali” e alla “Gestione di portali per la raccolta di capitali per la valorizzazione e la tutela dei beni culturali”.

Si spera nella Legge di Bilancio?

Dopo tanti tagli, la proposta di legge che ha ricevuto l'ok di Montecitorio è a dir poco snaturata. Non più una misura per fornire i necessari incentivi alle startup culturali e creative, ma un testo che si limita a disciplinare le imprese del settore ponendosi l'obiettivo di rafforzare e la qualificare l’offerta culturale nazionale, la nuova imprenditorialità e l’occupazione.

Unico pregio del nuovo testo, la definizione di impresa culturale e creativa, in base a precisi requisiti:

  • oggetto sociale, in via prevalente o esclusiva, relativo all’ideazione, la creazione, la produzione, lo sviluppo, la diffusione, la conservazione, la ricerca e la valorizzazione o la gestione di prodotti culturali, intesi quali beni, servizi e opere dell’ingegno inerenti alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, allo spettacolo dal vivo, alla cinematografia e all’audiovisivo, agli archivi, alle biblioteche e ai musei nonché al patrimonio culturale e ai processi di innovazione ad esso collegati;
  • sede in Italia o in uno degli Stati membri dell’Unione europea o in uno degli Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo, purché abbia una sede produttiva, un’unità locale o una filiale in Italia;
  • attività stabile e continuativa.

Entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge sarà emanato un decreto dei Ministeri dei Beni e delle attività culturali e dello Sviluppo economico che disciplinerà la procedura per il riconoscimento della qualifica di impresa culturale e creativa.

In tal modo, le imprese che possiedono tali requisiti otterranno un riconoscimento sul piano giuridico, primo passo verso il futuro riconoscimento di forme di sostegno. Partita che si giocherà nella prossima Legge di Bilancio e che potrebbe far tornare in ballo le agevolazioni inizialmente previste dalla proposta di legge.

Un testo non perfetto

“Il nostro Paese è si quello che ha la massima densità di siti Unesco del mondo, dotato di un primato indiscusso dal punto di vista culturale, storico ed artistico, ma è anche quello che più deve dotarsi degli strumenti per far sì che questo potenziale identitario sia un volano forte per la crescita e lo sviluppo”, ha sottolineato la relatrice, la deputata Pd Irene Manzi, segretario della commissione Cultura della Camera, presentando il testo in Assemblea.

Ma il testo approdato in Aula è “sicuramente non perfetto e ancora suscettibile di ulteriori miglioramenti”, ha ammesso.

Verso Cultura 4.0

“La definizione dell’impresa culturale e creativa quale figura riconosciuta dall’ordinamento è forse il nostro primo piccolo passo verso Cultura 4.0”, dichiara Anna Ascani (Pd), prima firmataria della proposta di legge. “Da qui passa l’unico sviluppo possibile del nostro paese, dall’investimento in ciò che nella storia siamo stati, in ciò che siamo e che è nel dna del sistema Italia. Un paese straordinariamente ricco di cultura e di creatività: ce lo riconoscono gli altri, forse con questa legge stiamo iniziando a riconoscerlo anche noi”.  

“Non è che prima c’era un provvedimento con delle risorse da cui le abbiamo tolte. C’era una proposta meritoria della collega Ascani che ci ha permesso di arrivare” a una definizione del settore, sottolinea il deputato PD Roberto Rampi. In corso d’opera, “ci siamo accorti che le startup non dovevano essere il centro della legge: il centro era il riconoscimento giuridico dell’intero settore. Senza questa legge questo riconoscimento non ci sarebbe”. 

M5S critico

“Un’astensione a malincuore”. Così la deputata pentastellata Chiara Di Benedetto definisce la posizione del movimento. Un testo, quello approvato dall'Aula definito “ingiusto nei confronti delle realtà che abbiamo coinvolto nel corso del lavoro in commissione. Non si comprende la ragione di questo passo indietro così importante. Si è svuotato di senso il provvedimento”.

Astenuti, oltre al M5S anche Sel-Possibile, Articolo 1-Mdp e Lega. Favorevoli invece al provvedimento anche Forza Italia e Fratelli d’Italia.

Franceschini: ottima notizia

“Un’ottima notizia” per il ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Dario Franceschini. “Si tratta di un insieme di norme fortemente sostenute dal Governo, che vanno a regolamentare un comparto strategico che genera ricchezza e occupazione e che è sinonimo di eccellenza e dinamismo”.