Il referendum in Irlanda spiana la strada al Trattato di Lisbona

 EuropaCon la vittoria del referendum in Irlanda, Bruxelles ha tirato un sospiro di sollievo. Il voto favorevole conferma che l’Europa è destinata ad un percorso “stop and go”, in cui storicamente picchi di consenso e condivisione si alternano ad abissi di rifiuto e di scetticismo. Al punto in cui ci troviamo, tutti gli Stati membri hanno approvato il trattato di Lisbona e 24 di essi hanno completato il processo di ratifica.
Ma non è stato sempre rose e fiori. La prima doccia gelata arrivò con i no dei francesi e degli olandesi al trattato costituzionale sottoscritto a Roma nel 2004. Bocciato da questi due referendum, dopo lunghe e doverose riflessioni, l’ambizioso progetto di Costituzione per l’Europa fu sostituito da un nuovo testo semplificato e meno invasivo per i cittadini europei, il celebre trattato di Lisbona siglato nel dicembre 2007.
 
Per entrare il vigore, il trattato necessita ancora della ratifica di Polonia e Repubblica Ceca, che per il loro indugio si trovano al centro dei riflettori internazionali. Queste le ragioni: il premier polacco Lech Kaczyński attendeva l’esito irlandese, mentre il presidente ceco Václav Klaus ha finora accampato motivi legati ad una presunta anticostituzionalità del trattato. Nondimeno, il sindaco di Londra Boris Johnson e il leader dei Tory David Cameron hanno chiesto a Klaus di temporeggiare fino alle elezioni inglesi della primavera 2009. Dopo la loro ascesa a Downing Street, i conservatori potrebbero così ritirare la ratifica e sottoporre il trattato ai sudditi di sua Maestà.
 
In realtà, una volta operativo, il trattato di Lisbona potrebbe realisticamente migliorare il funzionamento dell’Unione Europea.
Prima di tutto subentrerà la nuova figura istituzionale del presidente del Consiglio europeo, in carica per due anni e mezzo. Questa figura sostituirà la presidenza a rotazione nella guida del consiglio europeo, ritenuta troppo dispersiva a causa dei numerosi spostamenti semestrali da un paese all’altro, garantendo così anche una maggiore continuità e coerenza nel perseguimento degli obiettivi politici. Recita così il testo:
“Il presidente del Consiglio europeo:
  • presiede e anima i lavori del Consiglio europeo;
  • assicura la preparazione e la continuità dei lavori del Consiglio europeo, in cooperazione con il presidente della Commissione e in base ai lavori del Consiglio “Affari generali”;
  • si adopera per facilitare la coesione e il consenso in seno al Consiglio europeo;
  • presenta al Parlamento europeo una relazione dopo ciascuna delle riunioni del Consiglio europeo.
Il presidente del Consiglio europeo assicura, al suo livello e in tale veste, la rappresentanza esterna dell'Unione per le materie relative alla politica estera e di sicurezza comune, fatte salve le attribuzioni dell'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza”

Grazie al trattato potrà essere sciolto un altro grande interrogativo. Henry Kissinger si era sempre lamentato dell’impossibilità di dialogare con qualcuno. “Quando voglio parlare con L’Europa – avrebbe esclamato – non so mai chi chiamare!” . Ecco quindi istituita la figura dell’alto rappresentante per la politica estera e della sicurezza comune, che svolge il ruolo di una sorta ministro degli esteri e sarà in grado di dialogare per conto dell’Europa con il resto del mondo. Questa figura sarà uno dei vicepresidente della Commissione Europea e guiderà il servizio diplomatico. Così, per la prima volta viene creato un raccordo tra le due istituzioni che intervengono – seppur in modi diversi  - sulla scena dei rapporti internazionali: il Consiglio e la Commissione.

Assisteremo poi ad un ulteriore rafforzamento dei poteri del Parlamento Europeo, che diventa colegislatore su quasi tutte le materie, estendendo così il suo campo d’azione.
 
In seno al Consiglio si consolida inoltre il meccanismo di voto a maggioranza qualificata, con il progressivo abbandono del principio di unanimità e, quindi, del potere di veto. Per maggioranza qualificata si intende almeno il 55 % dei membri del Consiglio, con un minimo di quindici, rappresentanti Stati membri che totalizzino almeno il 65 % della popolazione dell'Unione.
Entra poi in vigore la causola di solidarietà in caso di crisi energetica, terrorismo e calamità naturali.
 
In conclusione, utilizzando una metafora del portavoce della Commissione Ue in Italia, Roberto Santaniello, l’Europa potrebbe essere paragonata a un grande condominio, il cui amministratore talvolta fatica a mettere d’accordo gli interessi comuni. Il successo legato all’approvazione del pacchetto clima-energia è l’esempio concreto di come sia possibile, oltre che doveroso, raggiungere un’intesa su questioni fondamentali.
(Alessandra Flora)