Green Community - Vetritto, da Strategia grandi opportunita' per il Paese

Giovanni Vetritto, dirigente del Dipartimento degli Affari regionali della Presidenza del Consiglio, fa il punto sulla Strategia nazionale per le Green Community.

Giovanni Vetritto

Green Community – al via consultazione pubblica

Collegato ambientale - guida agli incentivi

Istituita dal Collegato ambientale alla Legge di stabilità 2014, la “Strategia per le Green Community” individua il valore delle comunità rurali e montane che intendono sfruttare in modo equilibrato le risorse di cui dispongono – in primo luogo acqua, boschi e paesaggio – e aprire un nuovo rapporto sussidiario e di scambio con le comunità urbane e metropolitane, in modo da poter impostare un piano di sviluppo sostenibile.

Sulla Strategia il dipartimento per gli affari regionali e le autonomie ha avviato una consultazione rivolta ai soggetti pubblici e privati portatori di interessi, che resterà aperta fino al 20 marzo. La strategia delle Green Community “si distingue per un chiaro intento di sviluppo”, sottolinea Giovanni Vetritto, e alcuni dei settori in cui si articola sono potenziali beneficiari “di fonti finanziarie pubbliche, soprattutto derivanti dalla progettazione europea”.

Perché una strategia nazionale e non un piano?

Mi pare che l’intento del legislatore sia stato nutrito da un’evidenza empirica piuttosto solida: troppo spesso su questioni di carattere strategico, rispetto alle quali il Paese ha bisogno di una concettualizzazione efficace e di una maturazione culturale specifica, l’introduzione della variabile finanziaria fa più danni che altro. È quanto accaduto sul tema urbano con il PON Metro: una somma di progetti in molti casi di indubbio valore, ma che non ha fatto avanzare di un passo le consapevolezze di policy sullo specifico urbano. Lo si è visto in occasione delle ultime elezioni amministrative nelle grandi città. Viceversa, definire una strategia, condividere temi, obiettivi, strumenti, indici di valutazione prima di introdurre il tema del finanziamento può aiutare a chiarire meglio il da farsi.

L’art. 72 del Collegato ambientale arriva però a chiarire che la strategia non deve portare oneri aggiuntivi. Questo non è un limite?

Al contrario: non si tratta di aggiungere risorse, ma di finalizzare bene quelle che ci sono. Il no a risorse aggiuntive non vuol dire operare a risorse zero: stiamo già lavorando al Dipartimento per costruire una matrice delle non poche fonti finanziarie, spesso di matrice europea, che consentono di alimentare obiettivi e filiere che la strategia evidenzierà.

Qual è l’ispirazione di fondo che la strategia perseguirà?

L’intento del legislatore appare chiaro: nella filiera di documenti e piani a carattere pubblico, che rispetto all’ambiente si ispirano a una filosofia conservativa che è ovviamente necessaria, questa strategia si distingue per un chiaro intento di sviluppo. L’elencazione delle materie che la strategia dovrà affrontare rinvia ad altrettante filiere di nuova impresa, ecocompatibile, sostenibile, ecologica. Un campo dalle prospettive immense per un paese come l’Italia pieno di parchi, di ricchezze naturali e antropizzate, dalla cui valorizzazione si può immaginare di creare molto PIL e molti posti di lavoro.  Basta prendere un aereo e scendere in qualsiasi aeroporto di grandi città in Paesi sviluppati e guardare le pubblicità alle pareti: ovunque l’innovazione produttiva è declinata in termini di sostenibilità, di compatibilità ambientale, di rivitalizzazione di filiere tradizionali, dall’agricoltura al paesaggio, che stanno conoscendo una nuova modernità. In questi settori l’Italia non è all’avanguardia nonostante il rilevantissimo patrimonio pubblico di partenza: possiamo recuperare posizioni e fare il salto tecnologico oltre l’era del fossile. La strategia deve operare in questo senso.

Sviluppo sostenibile – Ministero Ambiente lavora a strategia nazionale

In che rapporto questa strategia si porrà con quella sulla sostenibilità del Ministero dell’Ambiente?

Quella del ministero dell’Ambiente è una strategia più ampia, che mira a riposizionare sui temi ambientali il sistema Paese nel suo complesso, in coerenza con gli Obiettivi dell’agenda 2030 e nel contesto di uno sforzo globale che fa capo alle Nazioni Unite. Più modestamente, la Strategia Green Communities mira invece a sostenere sistemi locali, con un occhio particolare alle comunità montane, agricole e marginali: da questo punto di vista avrà significativi punti di contatto e sinergia con la Strategia Aree Interne che sta nella Programmazione dei Fondi strutturali europei per la stagione 2014-2020 e ha lo scopo principale di riorganizzare i tre servizi fondamentali di cittadinanza relativi a salute, trasporti e istruzione; ha un’implicazione di sviluppo locale rispetto alla quale la nostra Strategia può offrire una valida sponda dischiudendo opportunità. Non si faccia però l’errore di pensare che nel suo radicamento locale la Strategia Green Communities sia a carattere minore: in aree marginali o intermedie vive ancor oggi quasi un italiano su quattro, che non gode di chance di vita e di servizi di base adeguati a una cittadinanza soddisfacente. Dare una risposta al 25% circa degli italiani è un imperativo categorico, non un’azione marginale.

Quali sono le materie che la legge elenca per la strategia?

Si va dalla gestione del patrimonio agroforestale a quella delle risorse idriche, dalla produzione di energia da fonti rinnovabili locali al turismo sostenibile, dalla “zero waste production” ai nuovi modelli di azienda agricola sostenibile ed energeticamente indipendente, a molte altre di assoluta modernità e priorità. È interessante notare come alcune di esse siano potenzialmente beneficiarie di fonti finanziarie pubbliche, soprattutto, come detto, derivanti dalla progettazione europea; dare respiro finanziario agli interventi, una volta che si disponga di buoni concetti e di un adeguato rating delle buone pratiche, è uno degli scopi che ci prefiggiamo.

La norma non fa menzione di una consultazione pubblica. Perché avete scelto di lanciarla?

Perché la strategia mira a una vera discontinuità culturale, che come tale non può essere imposta dall’alto ma deve partire dalla condivisione di obiettivi e strumenti con il maggior numero possibile di attori sociali. Perché abbiamo innanzitutto bisogno di una buona concettualizzazione, e per arrivarci abbiamo bisogno di conoscere e capire i significati potenzialmente anche differenti che gli stakeholder rilevanti attribuiscono alla nozione di comunità green. Perché è coerente con un nuovo modo di fare amministrazione che il dipartimento sin dai suoi vertici pratica convintamente come l’unico al passo con i tempi. E anche, perché no, perché è nello stile e nella cultura di un ministro, come il nostro, che è uomo di un’aspra zona di montagna, come il cuneese, e che ha a cuore una soluzione capita e condivisa dai destinatari.

Che tempi avrà la redazione della strategia?

Abbiamo un quadro complesso in cui dobbiamo evitare sovrapposizioni con altre strategie e programmi ma allo stesso tempo aggiungere valore. Abbiamo voluto un passaggio di apertura conoscitiva e di condivisione. Serviranno certamente alcuni mesi. Confidiamo che non saranno troppi.