Fintech – Bruxelles vuole imporsi sul mercato e pensa a licenza UE

Fintech - Valdis Dombrovskis - © European Union , 2017/Source: EC - Audiovisual Service/Photo: Lukasz KobusPer recuperare il ritardo accumulato nei confronti dei mercati più forti, come Stati Uniti e Asia, Bruxelles sta pensando a licenze UE per le aziende Fintech. Ma la strada è ancora lunga, come dimostra anche la situazione italiana.

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Se è vero che il 2018 sarà l’anno del Fintech, allora l’Europa deve darsi da fare. Ne è convinto il commissario UE responsabile per la stabilità finanziaria, i servizi finanziari e il mercato unico dei capitali Valdis Dombrovskis, che intervistato dal Financial Times ha fatto sapere che la Commissione avrebbe allo studio un piano per regolamentare il settore.

Nello specifico, Bruxelles starebbe pensando a licenze europee per accreditare le aziende Fintech e permettere loro di operare più facilmente in Europa.

Fintech: UE in ritardo, mentre prospera in Asia e Stati Uniti

Nell’Asia Pacifica il Fintech ha ricevuto nel 2017 investimenti per un totale di 14,8 miliardi di dollari secondo PwC, contro gli 8,3 del Nord America e i 2,4 del Regno Unito.

L’ecosistema è dominato dalla Cina  e dall’India, che si è convertita alle transazioni digitali mediante l’uso di individually unique mobile wallets e mettendo fuori corso alcuni tagli di banconote.

Troppe barriere in UE

Con l’entrata in vigore, il 13 gennaio scorso, della direttiva UE PSD2 sui servizi di pagamento, l’UE ha iniziato a muovere i primi timidi passi verso il settore. Obiettivo primario di PSD2 è creare un mercato unico ed integrato dei servizi di pagamento, uniformando le regole per gli istituti bancari e per i nuovi prestatori di servizi di pagamento sorti con l'avvento del digitale.

Ma non basta. “L'Europa è certamente in una buona posizione” per intercettare le novità emergenti nel Fintech, “in termini di competenze necessarie, finanziamento per l'innovazione e disponibilità di capitale”, continua il commissario.

Tuttavia, prosegue, ci sono “troppi ostacoli” tra gli Stati membri, che hanno impedito alle aziende del settore di crescere. “Non abbiamo ancora un mercato unico digitale ed è per questo che vediamo tante aziende Fintech europee andare negli USA o in Asia per scalare”.

Licenze UE per le aziende Fintech

Sarà battezzato nel corso dell’anno il Piano europeo per regolamentare il Fintech, rivela Dombrovskis.

siti di crowdfunding e i servizi di peer-to-peer landing  (prestito personale erogato da privati ad altri privati su Internet) sarebbero i primi destinatari delle misure, che poi si estenderebbero progressivamente a tutti gli altri soggetti del Fintech. La Commissione vorrebbe ad abbattere i confini transfrontalieri, permettendo l’operatività e la gestione delle iniziative a livello UE e aumentando così le opportunità di finanziamento.

Tra le opzioni allo studio, anche la concessione di licenze europee per le aziende operanti nel settore Fintech.

La situazione italiana: tra banche timide e correntisti tra i meno digitali d’Europa

Il nostro Paese ha mosso i primi passi per regolamentare il settore con la Legge di Bilancio 2018, che ha introdotto agevolazione fiscali e finanziarie in favore dei soggetti operanti nel settore del Fintech.

In primo luogo si introduce uno specifico regime fiscale dei proventi derivanti dalle attività di peer to peer lending. Inoltre, la Manovra dispone l’applicazione di una ritenuta a titolo d’imposta del 26% sui proventi derivanti dalle attività di peer to peer lending, ovvero dei proventi derivanti da prestiti erogati mediante piattaforme dedicate a soggetti finanziatori non professionali. La ritenuta è operata direttamente dai gestori delle piattaforme.

Ma le banche non stanno ancora al passo. In base a un’indagine conoscitiva condotta dalla Banca d’Italia sull’adozione delle tecnologie Fintech, infatti, tre quarti degli intermediari finanziari prevede di effettuare investimenti in tecnologie e servizi Fintech, ma gli importi stanziati sono ancora modesti (135 milioni di euro nel 2016).

La timidezza delle banche va di pari passo con la ritrosia dei correntisti italiani a fare ricorso ai servizi digitali: Eurostat rivela che se circa un europeo su due (51%) dichiara di ricorrere al web per gestire il proprio conto corrente, nel nostro Paese lo fa invece meno di un italiano su tre (31%).

L’Italia si piazza così fra i Paesi in Europa dove si fa meno ricorso all'home banking (23ma su 28 Paesi Ue). Peggio di noi Bulgaria (5%), Romania (7%), Grecia (25%), Cipro (28%), mentre il Portogallo registra lo stesso dato italiano (31%).

In testa fra i correntisti 'più digitali' dell'Unione ci sono i danesi (90%) e gli olandesi (89%). Negli ultimi 10 anni la media Ue è salita del 25%.

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