Palazzo Chigi - Dieci dossier per governare sviluppo Citta' metropolitane

Torino - Author: monaco obbediente / photo on flickr Secondo Palazzo Chigi il processo di costruzione delle Città metropolitane deve basarsi su indicatori economici e sociali.

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Impostare il processo di costruzione delle Città metropolitane sulla base di indicatori economici e sociali. E’ questa l’idea di fondo dei dossier appena pubblicati dal Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie di Palazzo Chigi. In questo modo si cerca di tarare in maniera diversa, a seconda dalle caratteristiche dei territori, il processo di creazione dei nuovi soggetti amministrativi. In qualche caso, sarà meglio orientarsi su alternative “strette”, che governino un numero limitato di Comuni, mentre in altri le evidenze portano verso alternative più larghe, con il coinvolgimento di molti più municipi.

I dossier sulle Città metropolitane

L’analisi in questione, nello specifico, è frutto della collaborazione del Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie con Invitalia, Istat e con il Consorzio interuniversitario Mipa e costituisce il primo anello della costruzione di un impianto informativo in linea con le esigenze delle autonomie regionali e locali. L’idea è di realizzare per ciascun territorio un contenitore analitico che, partendo da alcune informazioni sul contesto, sia in grado di fornire una rappresentazione della coesione territoriale.

Il confronto tra indicatori e situazione amministrativa

In pratica, si parte da un sistema di indicatori (popolazione residente, immigrazione, consumo di suolo, distribuzione del reddito, ricettività, attività produttive, aree interne e così via) che consenta di pervenire a una possibile fotografia, per i diversi territori considerati, delle dinamiche socio-economiche reali da governare. A questo viene sovrapposta la fotografia della situazione amministrativa che, ovviamente, non sempre coincide con lo stato dell’economia. In questo modo si cerca di supportare le decisioni di riordino, offrendo a tutte le amministrazioni una lettura critica del loro territorio.

La riforma Delrio

Tutto, ovviamente, andrà collegato all’entrata in vigore della legge 7 aprile 2014, n. 56 (la cosiddetta riforma Delrio), che apre la strada a profondi cambiamenti sul piano del governo territoriale. Tra questi, la legge regolamenta le Città metropolitane come nuovo soggetto amministrativo, cui dare un ruolo centrale nel nuovo assetto del governo territoriale.

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Il caso di Roma

L’esempio di Roma può aiutare, meglio di altri, a capire il lavoro che è stato realizzato. La capitale, secondo i dati messi in fila dall’analisi, è composta da 121 Comuni e abitata da 4,5 milioni di persone: oltre la metà di questi risiede nel Comune di Roma, ma il resto si trova nelle zone periurbane o collinari che occupano metà del territorio provinciale. Nelle zone periferiche di montagna abitano meno di 60mila persone.

I dati sul lavoro

Molto dicono i dati sul lavoro. Nel territorio della vecchia provincia ci sono tre sistemi locali: quello di Roma è il più grande (con 88 Comuni), ma ci sono anche quello di Pomezia e quello di Civitavecchia. Affinando ancora l’analisi si nota che c’è un’area composta da 36 Comuni nei quali l’integrazione del mercato del lavoro è a livelli massimi. Accanto a questo, ci sono 19 Comuni periferici, localizzati soprattutto nella zona orientale, che sembrano marginali rispetto alle dinamiche della città metropolitana.

Le alternative possibili

Da questi dati, allora, emerge che ci sono tre alternative nella costruzione della città metropolitana: quella più “stretta”, con un numero selezionato di Comuni e un alto numero di funzioni, quella più larga, concentrata su pochi servizi di rete che coinvolgono tutti i Comuni del territorio, o ancora la regione urbana metropolitana che sembra essere prospettata dall’analisi delle specializzazioni produttive.

Cosa succede a Milano

Situazione diversa a Milano. Qui l’analisi parte dal fatto che “il territorio ex provinciale di Milano è interamente pianeggiante e pertanto il continuum insediativo attorno alla città di Milano risulta maggiormente compatto e consolidato rispetto ad altre realtà metropolitane e proiettato verso le aree poste a nord della città capoluogo sia per le aree residenziali ad alta densità di popolazione che per quelle industriali”.

Cinque sistemi locali

Nell’aerea della ex provincia gravitano cinque sistemi locali di lavoro: quello di Milano, composto da 174 Comuni, è il più grande d’Italia ed è specializzato nei settore della meccanica e del mobile. Accanto a questo ci sono Bergamo, Busto Arsizio, Lodi e Vigevano. L’area di massima integrazione del lavoro, in questo caso, comprende ben 93 Comuni. Nel caso del capoluogo lombardo, allora, tutte le ipotesi andranno fatte ragionando su un’area molto vasta e densa, che non ha riscontro in nessun’altra città metropolitana istituita con la riforma delle autonomie.

Napoli e la sua eccezionalità

Interessante anche il caso della ex provincia di Napoli, composta da 92 Comuni e abitata da più di tre milioni di persone: si tratta di un’area intensamente popolata, nella quale si trova il Comune non capoluogo più popoloso d’Italia (Giugliano).

Gli altri dossier

L’analisi dei dati sul mercato del lavoro porta a individuare un’area composta da 30 Comuni, localizzata nella metà occidentale della provincia che si dirama verso la provincia di Caserta a Nord e ad ovest lungo la fascia costiera, fino a Torre del Greco. Quindi, anche in questo caso possono essere prospettate tre alternative di organizzazione, come per la città di Roma. I dossier – va sottolineato – analizzano anche i casi di Bari, Bologna, Firenze, Genova, Reggio Calabria, Torino e Venezia.

Links

> Il dossier di Roma

> Il dossier di Milano

> Il dossier di Napoli

> Gli altri dossier