Il Rapporto Draghi sulla competitività: serve un’UE adatta al mondo di oggi e di domani

Photocredit: European Union, 2022 | Photographer: Christophe LicoppeUso più efficace delle economie di scala a livello UE, maggiori finanziamenti per i beni pubblici anche grazie ai capitali privati e urgenza di rafforzare la fornitura di risorse e input essenziali. Sono questi i tre filoni su cui si dipana il Rapporto Draghi sulla competitività commissionato dall'Esecutivo UE europea e che l’ex premier italiano, Mario Draghi, ha annunciato ieri in Belgio. Alla base vi è la presa di consapevolezza di un mondo cambiato velocemente e profondamente negli ultimi anni e che richiede un altrettanto veloce e profondo cambiamento da parte dell’Unione, se si vuole assicurare la competitività dei suoi Paesi membri.

Il dibattito sul futuro della Politica di Coesione

E’ questa la sintesi di quanto anticipato da Mario Draghi alla Conferenza di alto livello sul pilastro europeo dei diritti sociali a La Hulpe (Belgio). Un intervento in cui l’ex premier italiano ed ex presidente della BCE annuncia i contenuti essenziali del Rapporto per la competitività dell’Unione che sarà presentato dopo le elezioni europee di giugno.

Il punto di partenza è la necessità - ormai non più procrastinabile - di avviare una nuova fase storica dell’Unione Europea che permetta di competere in un mondo nuovo, segnato dal “ritorno della rivalità tra grandi potenze”.

Per far ciò il Rapporto si focalizza su 10 macrosettori strategici e su tre fili conduttori. Un’agenda politica a tutto tondo che mira a “realizzare la trasformazione dell'intera economia europea” prevedendo anche - laddove non fosse possibile fare altrimenti - di procedere con un sottoinsieme di Stati membri.

Il rapporto di Draghi sulla competitività va letto in combinato disposto con un altro Rapporto atteso in queste ore e commissionato da Bruxelles ad un altro ex premier italiano, Enrico Letta, a cui il Consiglio europeo ha affidato l’incarico di redigere un rapporto sul Mercato unico europeo che sarà presentato domani, 18 aprile.

Stando a quanto emerso in questi giorni, i due Rapporti parlano tra loro, puntando sostanzialmente sulla necessità di riformare profondamente l’Unione Europea, se si vuole tenere il passo con la competizione sempre più intensa con altri player mondiali, a cominciare da Cina e Stati Uniti.

Il Rapporto Draghi sulla competitività dell’Unione Europea: i tre filoni politici 

Come già accennato, il Rapporto Draghi identifica 10 macrosettori, per ciascuno dei quali saranno necessari riforme ed interventi specifici, da realizzarsi però nel solco di tre fili conduttori

Il primo filo conduttore è consentire la scalabilità. “I nostri principali concorrenti stanno approfittando del fatto di essere economie di dimensioni continentali per generare scala, aumentare gli investimenti e conquistare quote di mercato per i settori in cui conta di più. In Europa abbiamo lo stesso vantaggio in termini di dimensioni naturali, ma la frammentazione ci frena”, spiega Draghi.

Esempi di questo tipo si rintracciano in tutti i settori. Nella difesa, ad esempio, dove “la mancanza di scala sta ostacolando lo sviluppo della capacità industriale europea” facendo sì che, mentre negli USA “i primi cinque operatori rappresentano l’80% del suo mercato più ampio (...) in Europa ne costituiscono il 45%”. “Questa differenza deriva in gran parte dal fatto che la spesa per la difesa dell’UE è frammentata” con "i governi europei che non appaltano molto insieme e non si concentrano abbastanza sul nostro mercato”. Invece, spiega Draghi, “per soddisfare le nuove esigenze di difesa e sicurezza, dobbiamo intensificare gli appalti congiunti, aumentare il coordinamento della nostra spesa e l’interoperabilità delle nostre attrezzature e ridurre sostanzialmente le nostre dipendenze internazionali”.

“Un altro esempio in cui non stiamo sfruttando la scala è quello delle telecomunicazioni. Abbiamo un mercato di circa 450 milioni di consumatori nell’UE, ma gli investimenti pro capite sono la metà di quelli degli Stati Uniti e siamo in ritardo nella diffusione del 5G e della fibra. Uno dei motivi di questo divario è che in Europa abbiamo 34 gruppi di reti mobili – e questa è una stima prudente, in realtà ne abbiamo molti di più – che spesso operano su scala nazionale, contro tre negli Stati Uniti e quattro in Cina”, afferma Draghi.

Discorsi e dati analoghi interessano poi le scienze della vita (ad esempio per lo sviluppo di farmaci nuovi e innovativi), o la creazione e la crescita di giovani aziende con le idee più innovative. In tutti i casi la scalabilità è fattore di crescita essenziale su cui, in questi anni, in Europa non si è fatto abbastanza.

Il secondo fil rouge riguarda la fornitura di beni pubblici. Laddove ci sono investimenti di cui tutti beneficiamo, ma che nessun paese può portare a termine da solo, abbiamo validi motivi per agire insieme”, spiega Draghi. Nell’economia europea esistono però “diversi punti di strozzatura in cui la mancanza di coordinamento fa sì che gli investimenti siano inefficienti”, spiega Draghi. 

Le reti energetiche e le interconnessioni ne sono un primo esempio. In entrambi i casi si tratta di beni pubblici che, per svilupparsi completamente, richiedono “decisioni sulla pianificazione, sul finanziamento, sull’approvvigionamento di materiali e sulla governance che sono difficili da coordinare” ma sulle quali, invece, è indispensabile raggiungere “un approccio comune”.

Altro esempio citato dall’ex premier italiano è l’infrastruttura di supercalcolo. “L’UE - spiega Draghi - dispone di una rete pubblica di computer ad alte prestazioni (HPC) di livello mondiale, ma le ricadute sul settore privato sono attualmente molto, molto limitate”. Questa rete potrebbe essere invece utilizzata dal settore privato per crescere e diventare più competitivo “e in cambio, i benefici finanziari ricevuti potrebbero essere reinvestiti per aggiornare gli HPC e sostenere l’espansione del cloud nell’UE. Una volta identificati questi beni pubblici, dobbiamo anche darci i mezzi per finanziarli”, chiosa Draghi.

Ed è su questo punto che si inserisce uno dei pilastri su cui dovrebbe vertere il futuro dell’UE: il progresso dell'Unione dei mercati dei capitali (UMC). “Il settore pubblico ha un ruolo importante da svolgere (...) ma la maggior parte del gap di investimenti dovrà essere coperto da investimenti privati”, spiega infatti Draghi. “L’UE dispone di risparmi privati molto elevati, ma sono per lo più incanalati nei depositi bancari e non finiscono per finanziare la crescita come potrebbero in un mercato dei capitali più ampio”. Il progresso dell’UMC diventa, pertanto, “una parte indispensabile della strategia complessiva per la competitività” dell'Unione.

Infine c’è il terzo filo conduttore: garantire la fornitura di risorse e input essenziali. Non solo materie prime ma anche lavoratori qualificati.

Nel primo caso, si tratta di un bagno di realtà che tira in ballo la stessa politica estera dell’UE. “Se vogliamo realizzare le nostre ambizioni climatiche senza aumentare la nostra dipendenza dai paesi su cui non possiamo più fare affidamento - spiega infatti Draghi - abbiamo bisogno di una strategia globale che copra tutte le fasi della catena di approvvigionamento minerale fondamentale. Attualmente stiamo in gran parte lasciando questo spazio agli attori privati, mentre altri governi guidano direttamente o coordinano fortemente l’intera catena”.

Nel secondo caso Draghi parla invece di capitale umano. “Nell’UE, tre quarti delle aziende segnalano difficoltà nel reclutare dipendenti con le giuste competenze”. Un dato che, unito all'invecchiamento delle nostre società e ad “atteggiamenti meno favorevoli nei confronti dell’immigrazione” conduce inevitabilmente alla necessità di “trovare queste competenze internamente”.

Quelli delineati da Draghi sono cambiamenti epocali che richiedono di “sviluppare ora un nuovo strumento strategico per il coordinamento delle politiche economiche”. 

Fino ad oggi, sulla competitività “l’Europa ha avuto un focus sbagliato”, sostiene Draghi. “Ci siamo rivolti verso l’interno, vedendo i nostri concorrenti tra di noi” e “allo stesso tempo, non abbiamo guardato abbastanza verso l’esterno” confidando sull'esistenza di un “ordine internazionale basato su regole”. “Ma ora il mondo sta cambiando rapidamente e ci ha colto di sorpresa”, con altre regioni che “non rispettano più le regole e che stanno elaborando attivamente politiche per migliorare la loro posizione competitiva. Nella migliore delle ipotesi - sottolinea Draghi - queste politiche sono progettate per reindirizzare gli investimenti verso le loro economie a scapito delle nostre; e, nel peggiore dei casi, sono progettati per renderci permanentemente dipendenti da loro”.

Da qui la necessità di “riflettere profondamente su come ci organizziamo, cosa vogliamo fare insieme e cosa vogliamo mantenere a livello nazionale”, consapevoli però che “data l’urgenza della sfida (...) non possiamo permetterci il lusso di ritardare le risposte a tutte queste importanti domande fino alla prossima modifica del Trattato. Per garantire la coerenza tra i diversi strumenti politici, dovremmo essere in grado di sviluppare ora un nuovo strumento strategico per il coordinamento delle politiche economiche. E se dovessimo scoprire che ciò non è fattibile, in casi specifici, dovremmo essere pronti a considerare di procedere con un sottoinsieme di Stati membri", afferma senza mezzi termini l’ex premier italiano.

“I nostri rivali ci stanno precedendo perché possono agire come un unico paese con un’unica strategia e allineare dietro di essa tutti gli strumenti e le politiche necessarie. Se vogliamo eguagliarli, avremo bisogno di un rinnovato partenariato tra gli Stati membri – una ridefinizione della nostra Unione che non sia meno ambiziosa di quella che fecero i Padri Fondatori 70 anni fa con la creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio”, conclude Draghi.

Photocredit: European Union, 2022 | Photographer: Christophe Licoppe